Oroldo era un pescatore dell’Arseria, una piccola isola nell’Oceano Espillaus. Un giorno, uno dei tanti della sua vita da marinaio, decise di spingersi più in là delle scogliere di Smeralda. Famose per quegli aghi di roccia che spuntavano dritti dalle profondità del mare. Superarle non era una cosa semplice. Da quelle parti le acque erano particolarmente spumeggianti e Oroldo, da ore, combatteva con la tempesta. Stremato dalla fatica e giunto a fine giornata si appisolò nel piccolo letto della cabina. Al risveglio vide in lontananza la terra ferma. Ma lasciò che diventasse un puntino scuro all’orizzonte finché non scomparve.

Tutto solo su quella barchetta celebrò una raffinata teoria sulla nascita delle stelle: il Dio Caput dopo un litigio con la moglie Mundi pianse lacrime dorate. Caput ne rimase così affascinato che decise di raccoglierle e di piantarle, come pezzi di un puzzle, nei vuoti cosmici di un cielo buio e tempestoso. Nacque così la vita, secondo Oroldo. Le tesi e i pensieri scivolavano leggeri in quelle ore trascorse in mare finchè non giunse la tristezza. In quel suo andare verso nessuna meta, Oroldo aveva perso di vista il senso di quel viaggio: perché lo aveva intrapreso? Per andare dove poi?

Assorto nei suo drammi sfiorò con le mani il pelo dell’acqua e raccolse una foglia che affiorava in superficie. Non sapeva a che albero appartenesse. Ma era strano che nel bel mezzo dell’oceano ci fosse una foglia così vivida e verde. Oroldo, che da giorni navigava senza vedere anima viva, anche i pesci sembravano essere scappati, la raccolse e, come fosse una perla preziosa, la poggiò in un recipiente per bere l’acqua.

Trascorreva molto tempo a parlare con la foglia. Le raccontava la sua vita. Le sue storie bizzarre. I giorni passarono e dal suo ramo spuntarono piccole foglioline. La pianta sembrava apprezzare quei pasti a base di parole perché cresceva prosperosa. E quando divenne un delizioso alberello Oroldo si accorse che la barca era troppo piccola per ospitare entrambi. Era necessario fare qualcosa.

L’imbarcazione trasbordava. Immobilizzato in una rete di foglie e radici Oroldo pensò alla sua vita. Ai suoi amici. Ai suoi racconti di avventura. La pianta gli succhiava tutte le sue energie. Ma com’era accaduto tutto questo? Aveva intrapreso un viaggio per scoprire il mondo e se stesso; ora, in punto di morte, sentiva di non aver scoperto nulla. Perchè quella pianta gli faceva questo? Eppure, l’aveva trattata sempre bene. Le parlava di tutto. O meglio, le parlava di lui. Soltanto di lui, così la pianta era cresciuta alimentandosi di egocentrismo facendo prevaricare la parte oscura su quella più nobile. Pianta perché mi fai questo? Continuava a ripeterle mentre la forza delle radici lo stritolava sempre di più. Pianta! Pianta! Ma la pianta non ascoltava nemmeno una di quelle parole. Solo, in quell’oceano, non c’era nessuno a cui chiedere aiuto.

Ma è proprio quando hai bisogno di qualcosa che questa appare. Oroldo sapeva che alla pianta piaceva ascoltare le storie. Anzi ogni volta che ne ascoltava una nuova si addormentava. Bene, disse fra sé. Ti farò vedere io.

C’era una volta un uomo molto forte, dai lunghi baffi neri. Lo chiamavano Baffotto per via di quella strana voglia a forma di otto sulla schiena. Baffotto aveva un pessimo carattere. Un giorno mentre stava litigando al porto con una banda di monellacci, si ferì ad un polso e andò su tutte le furie. Colpì, per sbaglio un barile vuoto. E una voce imprecò. Chi è quel mascalzone che disturba il mio sogno? Baffotto rimase stralunato. Chi mai poteva abitare in un barile unto e sporco. Tronfio della sua forza ficcò la testa nel barile. Chi sei? Urlava da lì dentro. Non sono affari tuoi! Rispose la voce. Baffotto divenne nervosissimo, nessuno poteva permettersi un azzardo simili con lui. Si spinse ancora di più nel barile fin quando si trovò conficcato in quella botte unta e bisunta. Appurato che lì dentro non c’era nessuno cercò di uscire ma si accorse ben presto che non poteva. La botte aveva una forma a otto e lui era rimasto incastrato là dove le curve del numero si intersecavano. Aveva pur sempre le gambe libere, con la botte in testa e incapace di uscire provò comunque a camminare. Magari qualcuno mi aiuterà, pensò. Niente, il porto sembrava un’isola deserta. Dopo tantissimo tempo sentì una voce femminile. Ma come ci sei finito lì? Baffotto le raccontò l’accaduto. Se le cose stanno così, vuol dire che sei veramente un tipo attaccabrighe. E che forse rimanere intrappolato in quella botte è quello che meriti. Fammi uscire, fammi uscire. Diceva piagnucolando. Sì che ti faccio uscire, promettimi però di essere più calmo la prossima volta e di non bisticciarti con tutti quelli che incontri, solamente perché sei grande e grosso. Lo prometto, disse con voce tanto infantile da fare tenerezza. La botte girò a destra poi a sinistra e come una vite Baffotto si sfilò dalla morsa. Grazie, grazie. Baffotto non riuscì mai a sapere chi fosse stato ad aiutarlo, ma da quel giorno non fece più a ‘botte’ con nessuno.

Ecco fatto, la pianta si era addormentata. Oroldo ne approfittò per liberarsi e spingere quel fiore gigante fuori dalla sua piccola imbarcazione. Splash! La pianta sprofondò negli abissi. Finalmente era libero. Troppa solitudine lo avevano fatto affezionare a una pianta egocentrica. Invece la vita è stare con le persone che ami. È condividere con loro i tuoi momenti di solitudine e quelli di felicità. Oroldo ritornò a casa. Non raccontò a nessuno della pianta, ma tutti vollero ascoltare la storia di Baffotto.