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Frutto di un piccolo esercizio di scrittura creativa, questo racconto parla dell’importanza di usare parole gentili. Per rivolgerci agli altri, a noi stessi e a tutto ciò che ci circonda. Usare parole d’amore, di gentilezza, di cortesia non può che fare bene all’anima e anche ai rapporti interpersonali. Sempre più spesso noto come ci siamo incattiviti e quante espressioni di odio riusciamo a pronunciare nell’arco di una giornata. Queste espressioni ci portano in un abisso fatto di rancore e rabbia. Eppure c’è un modo, molto semplice per giunta, per non cadere vittima delle nostre mancanza, parlarci con tenerezza. Quanti disastri o guerre potrebbero essere risolte con un linguaggio fatto di parole gentili.

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Continuano i miei piccoli esperimenti di scrittura mattutina, come le pagine del mattino, l’esercizio della Cameron riproposto più volte qui sul sito. Le trovo piacevoli e rilassanti perché fatte con il cervello ancora un po’ assonnato e il cassetto delle responsabilità ancora chiuso a chiave. Un mio caro amico, nonché ascoltatore delle mie parole bistrattate, me lo dice sempre: lascia fluire la creatività, libera cuore e mente. Ed è vero, l’unico modo che possiedo, e se posso estendere la cosa a chi mi legge, possediamo, è questo lasciar fluire. Lasciar correre le parole. Se prima non escono come possiamo fermarle per elaborarle? Come sempre le pagine del mattino si fanno senza troppi se o ma. Bastano 10 minuti o poco più, s’incomincia dal nulla, da una parola, da un sentimento, da un rumore nella stanza, e piano piano quel quaderno si riempie da solo. Ora che ci siamo un po’ liberati possiamo entrare a gamba tesa nella nostra vita, e nel nostro lavoro, che nel mio caso ha a che fare con le parole. Buone pagine del mattino a tutti.

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È come un fiume che scorre e non si ferma mai, il tempo intendo. Non ha obiettivi, fugge e acciuffarlo è un giocare a perdere. Può seguire altre vie, certo, e fare giri più lunghi, perché no. A volte con le tempeste potrebbe anche cambiare la portata per poi continuare a fluire, inesorabile, calmo e placido. E’ senza rimpianti né rimorsi, il tempo. Esattamente come l’acqua di quel fiume che non tornerà più indietro una volta diventata acqua e non si prosciugherà mai del tutto anche se fuori il sole arde le pietre e ti sembra di scomparire, di diventare polvere, cenere. L’acqua porta con sé il tempo, il tempo la vita. Seppure fosse diventato un filo sottile illuminato dalla sola luce della luna, quel fiume-tempo, non farebbe altro che continuare a scorrere.

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È che quando riprendo a scrivere mi chiedo sempre dove sono state le mie parole in tutto questo tempo. Le avrò dimenticate da qualche parte, come è il mio solito fare, oppure le ho lasciate lì, sole, piccole e indifese, senza cullarle con una nenia materna, perché, a volte, lo ammetto, sono così esigente da punirle. Come osano impossessarsi di me, del mio cuore, cucirmi addosso emozioni e ricordi di cui ne farei a meno. In questa estate lunga e calda il mio pensiero draga sabbie asciutte in cerca di perle preziose e, sotto questo sole, mi scotto. La mia fronte aggrotta rughe e sorrisi di smorfia. Ma loro, le parole, mi aspettano e dicono: «Siamo qui, al tuo fianco, sempre accanto a te; nel dolore, nella gioia, nella fuga che tanto di appartiene; siamo semplicemente noi stesse, cos’altro vuoi?».

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