Per imparare la storia da chi, la storia, l’ha vista, vissuta e raccontata. I più famosi inviati di guerra raccolti dall’Europeo per conoscere e capire l’Afghanistan. Un invito a leggere la storia.


Sono molto appassionata di scrittura, e dato il mio lavoro o presunto tale qual dir si voglia, devo spesso leggere cose che non mi piacciono affatto. La vita lavorativa di un cronista è legata anche alla sua volontà di rimanere sempre informato e, cosa che ho imparato a mie spese, allo studio della storia. Perché non si può raccontare o commentare situazioni e/o episodi di vita senza conoscere l’origine di un malessere, di una guerra, di una crisi. Oltre che sui libri scolastici di storia – a mio parere molto noiosi e poco attraenti per essere letti, – trovo più interessanti invece gli articoli dei bravi giornalisti, degli inviati di guerra; quelli che con il loro coraggio e le loro inchieste hanno scritto o riscritto pezzi di storia, fatto cadere governi, e informato su stermini che sarebbero stati cancellati se non nel ricordo di coloro che li hanno vissuti.

Tutta questa premessa per dire che l’ultima uscita dell’Europeo è a dir poco strepitosa. L’argomento è l’Afghanistan e gli articoli passo dopo passo riscrivono, anche nella mia mente, una storia lunga un secolo fatta di guerre e di violenza e che ancora oggi il paese si trascina dietro. Non entro nel merito della guerra, di cui francamente non vedo alcun bene, ma voglio soffermarmi su quegli articoli scritti da Valerio Pellizzari, Ettore Mo, Tiziano Terzani e la povera Maria Grazia Cutuli. Dico povera perché assassinata barbaramente sulla strada verso Kabul poco dopo aver inviato al Corriere della Sera un pezzo sulle armi di uccisione di massa da parte di Osama Bin Laden.

Gli articoli riproposti dall’Europeo sono interessantissimi. Li ho divorati per la capacità di queste persone di raccontare la storia, tanto che ad ogni pezzo mi sembrava di viverla quasi di persona. Sì, perché se le immagini parlano le emozioni raccontano. E le emozioni di questi cronisti, il loro stile asciutto diretto e soprattutto chiaro, che non lascia dubbi o confusioni, va tenuto presente, preso a modello. Ovviamente sempre rimanendo noi stessi. Va studiato, letto e capito perché ci arricchirebbe senz’altro.

A questo punto mi sembra giusto ricordare la forza degli articoli di Oriana Fallaci dai diversi fronti di guerra. Indimenticabile è la sua cronaca del suo stesso ferimento. Colpita a Città del Messico, durante i gravissimi incidenti di piazza delle Tre Culture, inviò all’Europeo ugualmente la sua testimonianza. E rileggendola ora a distanza di tanto tempo, sembra di guardare un film, di rimanere senza fiato. Di correre con lei mentre correva, di sentire il battito accelerato mentre veniva colpita, e di sapere esattamente cosa stava succedendo intorno. Insomma un gran bel pezzo. Se volete lo trovate qui.

Viste le premesse il piccolo lavoro di oggi sarà quello di leggere la storia vista con gli occhi degli inviati di guerra; esaminare il loro stile, le parole usate, la tecnica di narrazione preferita.

In questo caso, buona lettura a tutti.