Oggi propongo un nuovo esercizio. L’ho chiamato “Vedere per scrivere”. Il titolo spiega già tutto, si tratta di raccontare ciò che vediamo. Come sempre ci vuole pazienza nel dedicarsi alla scrittura e, in questo caso, ci aggiungo un tot di pazienza in più perché usiamo un senso, la vista, purtroppo poco sviluppato. Nel nostro caso “Vedere” significa andare oltre a quattro chiacchiere scambiate con qualcuno ma guardarne il volto, le espressioni e le emozioni che ci trasmette.

Poiché da neonati non ricordiamo il momento in cui abbiamo per la prima volta aperto gli occhi, l’Universo – che a differenza nostra è perfetto – ce ne ridà la possibilità da adulti.
Però non sempre il mondo che vediamo è quello che è. Il più delle volte sembra un quadro astratto, di quelli appesi negli studi dei dottori, da guardare di sguincio perché la cosa che più ci preme è di non farsi scavalcare in fila.

Ritornando a noi, l’esercizio di “vedere per scrivere” è complicatuccio – io non lo trovo affatto facile – perché ci obbliga ad entrare in armonia con il mondo esterno. E poiché questo non fa altro che riflettere le nostre emozioni più nascoste è brutto capire (e quindi vedere!) che il marcio più che fuori ce lo portiamo dentro. Niente panico, e vedetela come una bella opportunità per liberasi dei tanti tabù e preconcetti con cui spesso ci vestiamo.

In sintesi i passi per fare questo piccolo esercizio sono:
soffermarsi su quello che i nostri occhi vedono in questo momento
descriverlo
sto assistendo a un dialogo? E le persone cosa dicono? O è invece un immagine, un quadro ad esempio? E allora cosa rappresenta?
potrebbe avere un suo passato? Quale sarà?
che emozioni si provano?

Le domande potrebbero essere infinite.
A voi rispondere a quelle che più vi incuriosiscono.

Buona scrittura.

A me è uscito questo 😉

Era un coleottero nero. E questa mattina, questo coleottero nero ha incontrato la mia scarpa. Per lui forse sarà stata un pietra più alta delle altre e null’altro, ma io quella mia scarpa la vedevo come una montagna. Anzi, dato il mio piede non di certo da Cenerentola, poteva benissimo trattarsi del K2 in versione Monte Rosa. In fondo a questo coleottero nero che questa mattina ha scambiato la mia scarpa per un grossa pietra, chi glielo andava a dire che si era sbagliato.
Fortunatamente gli animali non sono come noi. Per loro una “Montagna!” è semplicemente una “montagna”. Sta lì. Un po’ la si guarda. Un po’ la si sale. E un po’ la si scende. Ma è una cosa come le altre, né più né meno.
Com’era carino il mio coleotterino! Cavolo, penso, incomincio già a parlargli come a un figlio. Sarò matta? Che dici coleotterino, sono matta? Chissà cosa avrà pensato mentre sola seduta su una panchina del parco parlavo con insistenza a quel coleotterino nero che ha scambiato la mia scarpa per una montagna. No, anzi sono io che io scambiato la montagna per la mia scarpa.
Uffa! Non ci capisco più niente. Chi ha scambiato chi? E tu coleotterino mi vuoi rispondere? Che cosa ne pensi di tutta questa faccenda?
Lui si è girato e ha arginato la montagna o la grossa pietra qual dir si voglia. E io sempre sola e seduta nel parco mi sono chiesta: Ma poi i coleotteri pensano veramente?