Il viaggio a Parigi inizia da Ciampino alle otto di sera lasciandomi alle spalle un’Italia in bilico fra le elezioni, il problema dei rifiuti e una Salerno Reggio Calabria dal costo sempre più esoso. L’aereo sobbalza a tratti nel buio della sera, e sebbene faccio finta di nulla la paura di un atterraggio imprevisto su un’isola, non segnata nemmeno dai radar, si annida nella mia mente più e più volte.

Mi guardo intorno alla ricerca di qualche personaggio interessante da scrutare, ma niente, solo italiani in vacanza felici e spensierati.

Meglio così, mi dico, tanto si finirebbe comunque col maledire il Berlusconi nazionale e di lui, almeno per quei giorni, non ne volevo sapere niente. Chiudo gli occhi e li riapro a Parigi, quando una voce calda dal chiaro accento francese ci informa che stiamo per arrivare nella città dell’amore. Bene, penso, niente atterraggio in qualche isola deserta da telefilm Lost; ma poi, in Europa, così ben lottizzata da secoli di guerre e conquiste, ci sarà veramente un’isola deserta?

Lascio le mie domande ad una improbabile risposta e, con lo stomaco a soqquadro, scendo. Merci beaucoup, dico a tutti gli stuart e le hostess che incontro lungo l’aereo. Mi sorridono e a suon di grazie e au revoir sbarco nella patria dei nazionalisti.

La prima cosa che noto è un manifesto dove un indiano sorridente e in salute mi guarda dalla portiera di un taxi francese. Sotto uno slogan pieno di promesse: “Benvenuti in un mondo di opportunità”.

Sorrido pensando al mondo delle opportunità italiane che mi sono lasciata alle spalle e che ritroverò, identiche, al mio ritorno. E mi dico che questi francesi hanno delle belle pretese, promettere benessere in un periodo di crisi. Intanto un treno ad alta velocità all’interno dello stesso aeroporto e poco lontano dall’uscita dall’aereo (un’opportunità…), ci porta verso la metropolitana.

Quando arrivo in questo labirinto rimango stupita dalla sensazione di tranquillità che provo nonostante soffra di estenuanti, e per giunta limitanti, attacchi ansiogeni. Fatto che mi colpisce soprattutto nei cunicoli metropolitani. Non erano quei treni, le porte anti-suicidio o la puntualità la sensazione era dovuta a qualcosa di diverso. Qualcosa che si avvertiva nell’aria. Passo oltre, con la mente, non sono arrivata a Parigi per macinare pensieri, ma per alleggerirli.

Prendiamo la linea diretta al nostro hotel, che per ragioni di economia abbiamo scelto fuori dalla zona calda. E quella percezione di calma è ancora lì nella mia mente. La città è buia, non vedo molto di Parigi alle 11 di sera.

In metro incontro gente di tutti i tipi e di tutti i colori. Anche loro mi sembrano tranquilli. Parlano in francese, non li capisco poi tanto, e mi rammarico di non averlo studiato in gioventù.

Saranno anche loro turisti, penso fra me, ma la destrezza nel maneggiare le arterie metropolitane mi fanno propendere per un soggiorno più stanziale; tra l’altro gli unici ad avere la mappa della città fra le mani eravamo noi ed un altro gruppetto poco lontano di ragazzini, dal chiaro accento milanese.

Entro nel vagone, spazioso e semi vuoto, e di nuovo la sensazione di prima mi assale. Non vi sembra che la gente qui sia diversa?, chiedo ai miei amici che nel frattempo scoppiano a ridere.

Contrariata mi immergo in me stessa, meglio non dare spazio ad ulteriori battute. A risollevarmi è un giovane, mio vicino di scompartimento. Un italiano sulla trentina, uno di quei cervelli in fuga che vorrebbero ritornare, ma per ora non ci pensano proprio. Si vive bene in Francia, mi dice. Ancora quella sensazione!

L’arrivo alla nostra fermata, Magenta, mi risveglia dai miei pensieri. L’omino dell’hotel prende nota del nostro ingresso e nel bugigattolo della mia camera con la pioggia battente sulle finestre pronta ad allontanare la felicità di trovarmi fuori dai confini nazionali, mi preparo alla lunga passeggiata che il giorno seguente mi avrebbe portato dall’Arco di Trionfo lungo tutti i Campi Elisi.

Intenta a cercare su internet il percorso e i suggerimenti migliori ancora mi assale quella percezione. Cerco di distrarmi guardando la tv. Il tubo catodico è sintonizzato su Rai 1. C’è un Pupo col suo Filiberto che vanno avanti a botte di canzoni e stonature.

Giro e mi sintonizzo su un programma francese abbracciando la tesi che il modo migliore per scoprire una società è guardare la sua televisione. – Mi chiedo cosa diranno i turisti in Italia guardando i programmi di Maria De Filippi e balletti delle nostre soubrette. – Qui Trovo un conduttore simil Pupo che intrattiene con canzoni melodiche i suoi telespettatori; meglio spegnere.

Chiudo gli occhi e ripenso a quel sentire che mi ha accolto fin da subito. Non arrivo al bandolo della matassa perché sono troppo stanca e rimando all’indomani la risoluzione dell’enigma.