SCOMPOSIZIONE POETICA. DISTRUGGERE PER CREARE

Molti di voi si saranno accorti che ci sono alcune poesie, ed alcuni poeti, con uno stile considerato ‘scomponibile’. Le loro poesie possono essere rimodellate a piacere e sfociare in un componimento derivato dal precedente ma che vive di vita propria, indipendente e autonoma.

Un poeta, anzi una poetessa, con queste caratteristiche è, secondo me, Emily Dickinson. Il suo stile criptico e sibillino poco adatto per gli uomini del suo tempo ci è molto utile in questo esperimento. Avrei potuto utilizzare i versi di altri poeti, più semplici e meno enigmatici, ma ci saremmo persi nei loro pensieri; e volevo che a rapirci (creativamente, s’intende) fossero le parole e non i pensieri.

Esperimento n. 01

Prendiamo ad esempio questa sua poesia. Se estrapolo tutte le parole di ogni verso e le mescolo, come i numeri del lotto, potrebbe uscire benissimo una nuova poesia; figlia della precedente ma diversa perché inconsciamente abbiamo rimodellato il contenuto a ‘nostra immagine e somiglianza’ direbbe Dio.

Capiterà che dei verbi o delle articolazioni poco si adattino al soggetto che avete scelto; siete liberi di fare delle piccole modifiche. Tuttavia, il mio consiglio è di sforzarsi e rimanere nel testo originario.

Testo originale Testo scomposto
Quando sento la parola ‘fuga’

il mio sangue scorre più veloce,

sorge in me improvvisa la speranza

e son pronta a volare.

Quando sento dire di prigioni

distrutte da soldati,

come un bambino scuoto le mie sbarre

invano, ancora invano.

Quando a volare sento la speranza

distrutta, invano, da soldati –

ancora più veloce scorre il mio sangue.

La parola scuote sbarre di prigioni

quando sento, in me, un bambino dire “improvvisa”. E come una fuga sorge: “Son pronta!”

Esperimento n. 02

A questa nuova composizione dateci un titolo. E provate ad analizzarlo scrivendo le sensazioni e le emozioni che tutta la composizione sorretta da quel titolo vi produce. Sono sicura che molti aspetti di voi emergeranno in maniera molto poetica

Esperimento n. 03

Fate leggere la nuova composizione al vostro compagno di corso, ma senza fargli vedere il titolo. Fatelo scrivere a lui.

GUARDARE O VEDERE?

Rimango sempre stupita delle grandi sfumature presenti nella lingua italiana.

In particolare esistono due verbi che spesso hanno destato la mia attenzione, sia per il significato in sé sia per la diversità di utilizzo.

Sono il verbo guardare e il verbo vedere.

Spesso li utilizziamo come sinonimi ma, secondo me, è riduttivo.

La differenza è chiara: guardare implica un’osservazione prolungata e associata anche a tutte le nostre sensazioni. Si può guardare col cuore, con il tatto… Mentre vedere è legato all’uso solo della vista. Posso vedere senza ricordarmi niente; ad esempio, dire: ho intravisto Maria l’altro giorno, significa che non la ricordo affatto. Non so com’era vestita, se il suo sguardo era felice. Come aveva pettinato i capelli; com’era il timbro della sua voce?…

Quelli che meglio degli altri sanno guardare sono i fotografi. Steve McCurry è di sicuro uno dei più affermati fotoreporter del mondo. Diventato famoso per aver immortalato la paura e l’ansia negli occhi verdi di una giovane donna afgana, McCurry ha viaggiato, ha osservato è andato oltre lo scatto immortalando brandelli di anime. La famosa foto di Sharbat Gula, la ragazza dagli occhi verdi fotografata a Peshawar, in Pakistan, nel 1984, in un campo di rifugiati in Afganistan, ha fatto il giro del mondo.

Breve biografia

Conseguita la laurea cum laude nel 1974, inizia a lavorare come fotografo di un quotidiano di King of Prussia, un sobborgo di Philadelphia, sua città natale. Quattro anni dopo decide di lavorare come freelance, parte per l’India e il Nepal, lascia il lavoro al quotidiano e si converte alla fotografia a colori. Il suo obiettivo è realizzare servizi geopolitici per i periodici. Dopo un avvio lento, McCurry arriva in breve tempo alla ribalta internazionale. Nel maggio del 1979 incontra nel Nord-ovest del Pakistan alcuni profughi afghani che lo informano che nel loro paese sta per scoppiare una guerra. Dopo aver trascorso alcune settimane con i ribelli mujaheddin, schivando l’artiglieria dell’esercito di giorno ed evitando le mine durante i trasferimenti notturni attraverso le montagne afghane, McCurry riesce a tornare in Pakistan con tutti i suoi rullini. Quando la sua fotografia dei combattenti mujaheddin che controllano il passaggio dei convogli russi viene pubblicata sul New York Times, McCurry diventa famoso in tutto il mondo. L’intrepido fotografo cui si devono le rare immagini di un conflitto nascente riceve presto altri incarichi dalle principali riviste. Nel 1980 segue la guerra in Afghanistan per Time e viene premiato con la prestigiosa medaglia d’oro Robert Capa per il miglior reportage fotografico realizzato all’estero con straordinario coraggio e spirito d’iniziativa. McCurry inizia quindi a collaborare con National Geographic, che gli garantisce le risorse e il tempo necessari per realizzare servizi approfonditi (l’indice completo degli articoli è nella pagina seguente). L’immagine della piccola profuga afghana dagli occhi verdi pubblicata sulla copertina di National Geographic nel 1985 lo consacra tra i maestri del fotogiornalismo mondiale ed è ancora oggi una delle fotografie più riconoscibili mai scattate. Nello stesso anno, McCurry ottiene numerosi riconoscimenti: tra questi il premio Magazine Photographer of the Year della National Press Photographers Association e quattro premi World Press Photo.

Fonte: repubblica.it

Esperimento n. 01

Guardate attentamente le foto che vedete in questo video. Soffermatevi anche più volte se è il caso, e andate oltre lo sguardo e la vista. Notate i particolari, le emozioni che quelle immagine suscitano. Lavorate di sensazione e di cuore. Lasciate il tempo necessario affinché si trasformino in parole. E concludete assegnando ad ogni foto un titolo. Questo titolo rappresenta esattamente ciò che il vostro sguardo ha veramente ‘visto’. Fatto in gruppo l’esercizio è ancora più interessante, perché ognuno di noi avrà colto un aspetto di un uomo o di una donna più vicino alla sua stessa personalità.

Esperimento n. 02

Prendete una di quelle foto. Osservatela meglio, giocate sul titolo che avete messo. E provate a scrivere tutto ciò che quello scatto ha suscitato in voi. Provate sempre a scrivere a tempo, così non sarte mossi dall’ansia; certo, se la voglia di raccontare avrà preso il sopravvento sulla pigrizia, congratulazione, siete entrati nel vento dell’immaginazione creativa.