Nel sito della Treccani c’è un bell’intervento sulla comicità, fatto dall’attrice Simona Marchini. È interessante la spiegazione che ne dà: “La comicità è una grande magia di comunicazione e d’insegnamento; ovviamente quando ha una qualche qualità“.

È soprattutto la comicità dialettale a farla da padrona. Come se i dialetti avessero delle scorciatoie particolari per andare a sollecitare la risata. E così mi viene in mente Totò, che usava il napoletano per enfatizzare una battuta. Guardate questa scena con Aldo Fabrizzi; tutto ruota attorno al cognone Cocozza, termine dialettale di zucca. Oppure l’accento toscano di Benigni. O la scena finale del Papocchio di Renzo Arbore. La canzone è in dialetto.

Ma pensiamo al poeta Cecco Angiolieri, e ai suoi versi beffardi dedicati al Sommo Poeta:

Dante Alighier, s’i’ so bon begolardo,
tu mi tien’ bene la lancia a le reni,
s’eo desno con altrui, e tu vi ceni;
s’eo mordo ’l grasso, tu ne sugi ’l lardo;
s’eo cimo ’l panno, e tu vi freghi ’l cardo:
s’eo so discorso, e tu poco raffreni;
s’eo gentileggio, e tu misser t’avveni;
s’eo so fatto romano, e tu lombardo.
Sì che, laudato Deo, rimproverare
10poco pò l’uno l’altro di noi due:
sventura o poco senno cel fa fare.
E se di questo vòi dicere piùe,
Dante Alighier, i’ t’averò a stancare;
ch’eo so lo pungiglion, e tu se’ ’l bue.

Buona battuta a tutti!

Ps: credo che la comicità non sia trasferibile; è qualcosa con cui si nasce, perché il comico è una persona che vede con occhi diversi. Se di fronte una scena o un fatto all’apparenza orribile al vostro fianco qualcuno fa una battuta che vi fa sorridere, sdrammatizzando la situazione, quello è un comico; e voi, persone fortunate.