È come un fiume che scorre e non si ferma mai, il tempo intendo. Non ha obiettivi, fugge e acciuffarlo è un giocare a perdere. Può seguire altre vie, certo, e fare giri più lunghi, perché no. A volte con le tempeste potrebbe anche cambiare la portata per poi continuare a fluire, inesorabile, calmo e placido. E’ senza rimpianti né rimorsi, il tempo. Esattamente come l’acqua di quel fiume, che non tornerà più indietro, che non si prosciugherà mai del tutto anche se fuori il sole arde le pietre e ti sembra di scomparire, di diventare polvere, cenere. L’acqua che porta con sé il tempo, il tempo la vita.  Seppure fosse diventato un filo sottile illuminato dalla sola luce della luna, quel fiume-tempo,  non farebbe altro che continuare a scorrere. Un po’ come quando ti brucia la passione dentro e hai una sola alternativa per non morire: seguirla. E guardare quel fiume era il passatempo preferito della piccola Diletta. Ogni giorno, al tramonto, si sedeva sulla sua riva e lo guardava scorrere. Semplicemente. Un lento andare. I suoi pensieri erano rivolti a quel gorgogliare. A quell’essenza. A quel sentirsi un pesce fuor d’acqua. Al volersi tuffare per rincorrere quella ruota che scandiva i suoi passi.  Se c’era qualcosa che il tempo non tocca è l’amore. Glielo aveva detto il fiume, in un giorno di pioggia. L’acqua cadeva così tanto da renderle impossibile vedere il palmo della propria mano attaccato al braccio, il braccio al collo, il collo alla testa. Come se quel corpo non fosse più materia ma acqua. Acqua che diventa aria, polmoni branchie, gambe coda. Di quel che accadde Diletta non ricordava più nulla, ma Dio com’era bello quel fiume, e quel cespuglio di margherite, e quelle mani che avevano piantato quei fiori, proprio lì nel suo posto preferito. Chi aveva avuto il coraggio di sfidare il fiume-tempo? Diletta sentiva di amare quelle mani sensibili, dolci, caldi; ma com’era bello il fiume, Diletta lo sapeva.