Scrivere è un bellissimo lavoro, ma ammetto che non è sempre tutto rose e fiori. Poi nei laboratori di scrittura creativa molto spesso escono fuori delle dinamiche interiori così forti da bloccarti. Tanto che col tempo ho capito che non è sempre il foglio bianco il principale ostacolo di uno scrittore (aspirante o meno), ma quegli aspetti meno piacevoli della propria personalità che vorrebbe, come dire… nascondere. Motivo per cui molti rinnegano la tristezza, la malinconia, la rabbia, le crisi di pianto. Ed è proprio di questo strano fenomeno, il pianto, di cui vorrei scrivere oggi.

Chi di noi non ha mai pianto in vita sua? Siamo nati piangendo. Abbiamo pianto di gioia, in alcuni momenti della nostra vita, e, in altri, pianto di dolore. Non è un sentimento sbagliato, ammesso che esista una giustizia dei sentimenti, e spesso poeti e scrittori debbono proprio al pianto il loro successo. Ne ha scritto Neruda nella sua bellissima poesia È vietato piangere senza imparare. E quanto sono emozionanti quelle pennellate di Picasso sul quadro La donna che piange. Ma è con Alessandro Baricco, dal suo libro Castelli di rabbia, che concludo questa piccola carrellata sul pianto. Quando, e lo fa con grande maestria, descrive il pianto silenzioso di Jun:

Ma Jun non disse nulla. Semplicemente, senza che un solo angolo del suo volto si muovesse, e assolutamente in silenzio, iniziò a piangere, in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi, come bicchieri pieni fino all’orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre, e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta. Così piangeva Jun.

Buona scrittura a tutti